venerdì 12 ottobre 2007

Dry martini... tra Bond e Buñuel


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Il perfetto dry martini non è un cocktail, è un’idea. Per avere sicuramente quella giusta, ecco a voi i dettagli storici. La fama del dry martini non è dovuta tanto alle sue grazie gastronomiche, ma al cinema. Quanto può un gin, anche se “speziato” con un vermouth, far salire i toni estetici del gusto di qualcuno che si è abituato ai vini grand cru, ai malti invecchiati e agli champagne vintage? Nonostante tutto, a causa della frequentissima presenza del cocktail nel cinema, si è formato un rapporto stravagante che lo ha reso l’aperitivo più richiesto nelle cene di alta gastronomia. E non del tutto a torto. La discreta neutralità aromatica di un buon gin e la leggendaria secchezza del dry martini costituiscono le indispensabili condizioni di un buon aperitivo. Può darsi che manchino le giuste condizioni gustativo-aromatiche che lo collochino come aperitivo ideale, come esistono in un buon champagne o in uno fine sherry, ma abbondano le condizioni stravaganti che si sono formate nel cinema. Quanti di noi non avrebbero voluto dire almeno una volta “A dry martini, please! Shaken, not stirred...”.
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Ed esattamente qui sorge la domanda quasi metafisica: quanto dry deve essere un dry martini? Da una parte, James Bond che ha reso famoso questo cocktail, nonostante sia un connaisseur par excellence, che capisce da un sorso l’annata di un Bollinger, non offre delle descrizioni riguardo la voluta secchezza del suo dry martini. E’ però molto sensibile a come il gin si mescola con il vermouth, cosicché la bevanda non si ferisca (bruised) con un mescolamento barbaro. Shaken, not stirred. Così come molto probabilmente preferisce Bond anche il sesso: agitamento delle sensazioni e non degli sgarbati contorsionismi. Dall’altra parte, per fortuna abbiamo le regole ferree di Luis Buñuel, del grande regista surrealista. Buñuel si è occupato tante volte di cibo, in modo sicuramente eversivo, nei suoi film. La famosa scena nel film “Il fantasma della libertà”, ove il cibo viene consumato nella toilette e la defecazione avviene nella sala da pranzo, la scena in cui i borghesi nel “Il fascino discreto della borghesia” bevono il dry martini cercando inutilmente il pasto perfetto, ne sono due esempi classici. Buñuel si è occupato inoltre delle regole esatte per ottenere un dry martini (nella sua autobiografia “My last sigh”). La sua ispirazione per la ricetta ideale è presa dall’Immacolata Concezione. Senza disposizione surrealistica o umorismo eversivo, Buñuel ricorre al grande filosofo medievale, Tommaso d’Aquino, che parla dell’Immacolata Concezione nel modo seguente: “come un raggio di sole trapassa una finestra, lasciando intatto l’imene della Vergine...”.

Nello stesso modo, secondo Buñuel, un raggio di sole deve trapassare una bottiglia di vermouth (e certamente, quando parla di vermouth intende solo il fine, quasi senza dolcezza e stupendamente sensibile Noilly Prat), prima che essa si scontri con il gin. Lo spirito del vermouth semplicemente si infonderà con la sua grazia nel liquido trasparente, per dar vita all’immacolato e molto dry martini. Con religioso rispetto, come se fosse una nuova Arca dell’Alleanza, Buñuel depone l’assoluta ricetta per il dry martini. Dice allora: “ecco la mia ricetta personale, frutto di lunghi ed elaboratissimi esperimenti, garantita per i suoi risultati perfetti. Prima che arrivino i vostri invitati, mettete tutti gli ingredienti, bicchieri, shaker e gin in frigorifero. Utilizzate un termometro per accertarvi che il ghiaccio stia a 20° sotto lo zero – il ghiaccio deve essere molto ghiacciato e duro, cosicché non si sciolga... non esiste niente di peggio che un martini annacquato.

Non togliete niente dal frigorifero, finché non siano arrivati i vostri invitati. Allora, fate sgocciolare poche stille del Noilly Prat e mezzo cucchiaino di Angostura bitters sopra il ghiaccio. Mescolate e poi scolate il liquido tenendo solo il ghiaccio, che manterrà il tenue gusto di entrambe. Versate il gin sul ghiaccio, agitate di nuovo lo shaker e servite". Buñuel, però, nonostante la precisione della sua ricetta non dice il tipo di gin che utilizza per questo emblematico cocktail; non parla nemmeno dell’oliva, del limone o del Gibson’s. Dato che era spagnolo, forse preferiva le olive verdi ripiene di mandorle. Per quanto riguarda il gin, l’Inghilterra è da sempre una fonte autorevole per questa bevanda e naturalmente marche come il Bombay Sapphire, il Tanqueray, il Ten, rappresentano le scelte più indicate. E di sicuro, almeno secondo il dry martini di Buñuel, mai la vodka. Questa sarebbe una bestemmia ed un’eversione surrealistica...

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