sabato 6 febbraio 2010

Dandy Joseph Roth


Ai due lati della scala che dal solare inferno scende giù nel profondo oscuro territorio del paradiso, pavimentata di trappole e domande scivolose e tentazioni melenense e vischiose, c'è un corrimano a cui reggersi traballanti ed insicuri, devastati dai nostri incubi da svegli (sempre migliori dei draghi verdi che rovinano il nostro sonno). Le pareti a specchio che moltiplicano la nostra personalità già moltiplicata dalla schizzofrenia, sono illuminate da piccole lampadine azzurre. Nasce una atmosfera di alba, fumo e sogno. Nasce un colore piuttosto insolito. E' qui che svanisce la coscienza del tempo. Ci ricordiamo solo che la mezzanotte era passata da tempo quando la porta del paradiso si è aperta , prima di cadere vittime della sua dannazione. All'improvviso, svanì tutto: il ricordo dei luoghi del piacere della nostra vita, i visi delle donne che ci amarono, il cielo stellato di Monmartre, la solitudine di NY, la calda brezza di St. Tropez, i clacson delle auto in rue Pigalle, il tintinnio di bottiglie e bicchieri dei nostri bar, dei nostri rifugi, del fumo dei sigari nei nostri confessionali..... Di fronte alla scala siede un'orchestrina con pianoforte, violino, sassofono, tromba, clarinetto e fisarmonica. Il violinista non ha quasi nulla da fare. Per questo fa il direttore. Sta in piedi davanti ai suonatori, ma dà loro le spalle, rivolto verso i nuovi arrivati, la scala e il pubblico. Non dirige la musica, ma la sala il colore le danze. Dirige il paradiso, il paradiso dei dannati.
Joseph Roth in un caffè di Amsterdam con amici e puttane.
liberamente tratto da "Al bistrot dopo mezzanotte"